venerdì 20 dicembre 2019

41. V’è, intorno alle api, una leggenda di minacce e di pericoli.

Mi è capitata tra le mani una copia, consunta dal tempo, de “La vita delle api” di Maurice Maeterlinck, edita da Rizzoli nel maggio del 1951.
Chi era costui? Premio nobel per la letteratura nel 1911, Maeterlinck fu poeta, drammaturgo e saggista. "La vita delle api" fa parte di una trilogia dedicata agli insetti, interessante ancora oggi non fosse per il suo spunto divulgativo e di racconto.

In attesa dell’avvio del corso di apicoltore, ne riporterò qualche brano. Si respira il sapore di una scrittura lontana, a tratti pomposa, non priva di poesia e di celebrazione. 
“VI La prima volta che si apre un alveare, si avverte un po’ dell’emozione che si proverebbe nel violare qualche cosa di sconosciuto dove possono celarsi spaventose sorprese: una tomba, per esempio. V’è, intorno alle api, una leggenda di minacce e di pericoli. V’è il ricordo irritante di quelle punture che provocano un dolore così particolare che non si sa a che cosa paragonarlo: si direbbe un’aridità folgorante, una specie di fiamma del deserto che si spande nella regione lesa; come se le nostre figlie del sole avessero estratto dai raggi irritanti del padre loro un veleno prodigioso, per difendere più efficacemente i tesori di dolcezza ch’esse traggono dalle sue ore benefiche.
E’ vero che, aperto senza precauzioni da chi non conosce né rispetta il carattere e i costumi dei suoi abitanti, l’alveare si trasforma istantaneamente in un roveto ardente di collera e di eroismo. Ma si fa presto ad acquistare la piccola abilità che occorre per maneggiarlo impunemente. Basta un po’ di fumo proiettato nel momento giusto, molto sangue freddo, molta dolcezza, e le operaie bene armate si lasciano allora spogliare, senza pensare a sfoderare il pungiglione. Non che riconoscano il loro padrone, come qualcuno ha sostenuto; non temono l’uomo, ma l’odore del fumo, i lenti movimenti che attraversano la loro casa senza minacciarle, fanno loro immaginare che non si tratti di un attacco o di un gran nemico contro il quale sia possibile difendersi, bensì di una forza o di una catastrofe naturale alla quale si debba sottomettersi. Invece di lottare invano, e piene di una previdenza che sbaglia perché guarda troppo lontano, esse vogliono almeno salvare l’avvenire e si gettano sulle riserve di miele per attingervi e nascondere in loro stesse di che fondare altrove, - non importa dove, e subito – una nuova città, se la vecchia sia distrutta o se esse siano costrette ad abbandonarla.

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